Recensire un’opera di Zero Calcare risulta, necessariamente, complesso. I suoi sono flussi di pensieri, moti di coscienza, sensi di colpa, epifanie, pentimenti, e ammissioni. Mischiati. Shakerati. Disegnati. Colorati.
E, in questo caso, animati e doppiati.
E come faccio, io, a venire qui e a dirne bene o male? Che poi, lo potrei anche fare se lui dicesse: “il mondo è così, le cose funzionano così, stacce”.
E invece no. Lui indossa la sua maglia col teschio, si circonda di Sara, Secco e degli altri personaggi del suo quartiere, e inizia a viaggiare per i propri ricordi, per le proprie memorie, raccontando il mondo per come lo percepisce, per come lo capisce.
Ed il filtro non è quello dei suoi giudizi, dei suoi valori: al contrario. Lui filtra tutto con i suoi dubbi, con le sue insicurezze, con la sua certezza di aver capito poco più di un cazzo di come stanno le cose.
Anche quando si crea dei nemici, nei “cattivi”, come fa in questa serie, si ferma a cercare di mettersi nelle loro scarpe, sempre con la domanda: “E se lo stronzo fossi io?” – “Se a non aver capito un cazzo fossi io?”
Zero è confuso, e noi lo siamo con lui. Zero ha idee, e nella propria vita e carriera ha lottato, intellettualmente e fisicamente per esse, ma è il primo a questionarle. E già lo faceva in “tagliare lungo i bordi”, ma con una differenza. Lì il tema affrontato era in qualche modo intimo, personale. Le riflessioni che ispirava erano sì etiche, ma inerenti alla nostra psicologia, ai nostri rapporti con noi stessi e con le persone attorno a noi, specie quelle care. E con scrittura e regia, riusciva a creare un racconto ora leggero ora drammatico. Ti faceva ridere come un cretino e poi piangere come un bambino.
In questa sua seconda miniserie, che poi è un film di 3 ore spezzato in 6 parti, gioca una partita diversa.
Allarme spoiler sulla prima serie di Zero Calcare “Strappare lungo i bordi”
In “Strappare lungo i bordi” per tre quarti del tempo tu non capisci dove lui stia andando, cosa stia facendo, ridi e ti intenerisci seguendo il flusso dei suoi ricordi. È solo all’ultimo momento che ti svela la sua destinazione: sta andando ad un funerale. Di una sua amica. Anzi. Qualcosa di più di un’amica. Si tratta di Alice, una persona che, a modo suo, nella sua timidezza e nella sua “disfunzionalità” relazionale, ha amato. E che ora è morta. Suicida.
La cosa ti spiazza, prima, e ti ammazza, immediatamente dopo.
Il nocciolo di “Questo mondo non mi renderà cattivo”
In “Questo mondo non mi renderà cattivo” come detto, la partita è un’altra. C’è di nuovo un personaggio “tragico” esterno alla sua compagnia più ristretta. C’è di nuovo un flusso di ricordi e memorie che ci portano a conoscerne la storia, i traumi.
Ma il tema di fondo è molto più politico, sociale, etico. Zero si cala nella contemporaneità del suo quartiere, dei contrasti al suo interno, e ne fa metafora di un paese intero, e dei nostri tempi in generale.
E i suoi giudizi si fanno sfumati, perché i loro contorni sono aggrediti dal dubbio, dall’incertezza.
Sara, il suo faro di saggezza, per la prima volta vacilla. È obbligato a dubitare anche di lei. Di quella che sul finire di “strappare lungo i bordi” lo prendeva a ceffoni morali togliendogli dalla testa la paranoia di essere il vero colpevole del suicidio di Alice.
Alla quale, semplicemente, da amico, non era stato in grado di fornire ragioni sufficienti per non ammazzarsi. Come se il suicidio fosse un calcolo matematico, fatto con una bilancia capace di misurare pro e contro.
Qui Sara, ad un certo punto, da eroina si trasforma in essere umano, La sua forza e la sua etica scintillanti, prestano il fianco a paure e debolezze.
E Zero è confuso. Dubita di sé, delle proprie ragioni, e nel farlo, umanizza il nemico.
Nel sentirsi piccolo, imperfetto e parziale, riconosce ragioni, motivazioni e cause, al comportamento dei propri avversari, i neofascisti che riempiono il quartiere di manifesti razzisti e che riempiono la testa alle persone di bugie.
“E se io fossi nei loro panni? Se non avessi fatto i soldi con i fumetti? Se intorno avessi avuto le persone con cui sono cresciuti loro?”
Zero si pone queste domande, e la risposta lo spaventa. Quei fascisti, quei violenti, quei razzisti, sono diventati così per un motivo. Anzi, per un milione di motivi. E, lungi dal giustificarli, arriva in qualche modo a capirli.
Ed è qui che arriva a compimento l’opera, etica e politica, di Zero. Il suo non è un manifesto di sinistra intorno a cui riunirsi in quanto progressisti. L’armadillo gli smonta ogni ambizione in questo senso. Lui non è nella posizione di ergersi a maestro e spiegare al mondo come si viva. Ma non può nemmeno decidere di farsi i cazzi suoi e badare al proprio orticello, ai rapporti con editori e media.
Tutto quello che può fare è rimboccarsi le maniche e sporcarsi le mani per combattere e difendere i propri valori, le proprie credenze, badando che questi non diventino mai armi contro altre persone. Perché dall’altra parte ci sono persone. Portatrici di valori – distorti. Figlie di un sistema – malato. E sono quei valori, quel sistema, che deve e dobbiamo combattere, non gli altri esseri umani, per quanto in torto possano essere.
Cesare è il personaggio tragico intorno a cui Zero concentra tutte queste riflessioni. Dal conoscerlo, dal capirlo, dall’esserne stato amico, Zero trae tutti i dubbi che vanno a incrinare le sue certezze politiche, etiche e sociali. È facile odiare un nemico senza volto, senza passato e senza anima.
Molto più difficile quando il tuo nemico in qualche modo ti somiglia.
Qualche nota tecnica
“Questo mondo non mi renderà cattivo” è la seconda mini-serie animata scritta e diretta da Zero Calcare. È uscita il 9 giugno del 2023, su Netflix. Da un punto di vista tecnico, il successo della prima serie, uscita nel 2021, ha pagato, infatti la qualità generale, già buona, ha avuto un upgrade. Le animazioni sono più fluide, e sebbene lo stile rimanga quello iconico e super-riconoscibile di tutte le opere di Calcare, si ha una percezione di maggiore cura generale.
La storia è raccontata, nuovamente, per mezzo di salti temporali, avanti e indietro nei ricordi del protagonista. Zero doppia tutti i personaggi, tranne l’Armadillo, quando si tratta di una sua ricostruzione dei fatti, di un suo racconto. Quando però veniamo al presente, e lui esce dal ruolo del narratore, questi prendono le proprie voci originali e smettono i propri ruoli simbolici per diventare soltanto esseri umani. E in quei momenti, i vari Secco e Sarah si espongono per chi sono realmente, liberamente, uscendo dai binari che Zero ha tracciato per loro.
Secco, per un attimo, si mostra come qualcosa di più dell’amico “scemo” con cui passare tempo in pura leggerezza. Sarah, per un istante, smette i panni della maestra di vita, per mostrarsi debole ed imperfetta.
E Cesare ci obbliga a guardare al nemico, ai fascisti, come persone, come esseri umani. Con ragioni e motivazioni. Sbagliate, violente, inaccettabili. Ma non prive di radici.
E sono quei motivi i veri nemici. Ed il sistema che vanno a comporre. Un sistema distorto e malato, ma seducente, tanto che porta persino Zero ad entrare in crisi, a immaginare di scenderci a patti.
Michele Rech ci offre un’opera intellettualmente onesta, sincera, sofferta. Un’opera che, un po’ come abbiamo visto in “La Sindrome di Leonardo” di Maurizio Rosenzweig, ci parla di come è stata scritta, del perché nasce, e di che travaglio abbia affrontato il suo autore per partorirla.
E nel fare questo ci regala un altro piccolo capolavoro. Forse, anzi, certamente, meno potente, a livello emotivo, rispetto a “Strappare lungo i bordi”, ma per certi versi ancora più coraggioso.
Replicare l’impatto della storia di Alice era impossibile, quindi molto più saggio percorrere una strada diversa, ed è ciò che Michele fa, e bene, in questa sua seconda opera animata.