Ebbene sì, c’è del film dietro tutto questo marketing, dietro tutte queste chiacchiere, tutti questi rant conservatori a protezione di tradizioni che non sono tradizioni.
Parliamo di “La Sirenetta” ennesimo remake di un classico Disney, uscito al cinema il 24 maggio 2023, per la regia di Rob Marshall, già regista di “Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare” e “Mary Poppins Returns”, oltre che di “Chicago” e “Memorie di una Geisha”.
Nel cast, tra gli altri, abbiamo Halle Bailey, nei panni di Ariel, Jonah Hauer-King, nei panni del principe Eric, Javier Bardem nelle vesti di Tritone e Melissa McCarthy nei tentacoli di Ursula.
In questa recensione ci saranno, qui e lì, piccoli dettagli di trama, poiché parliamo del remake di un film noto e arcinoto, la cui trama viene rispettata e trasposta con una discreta fedeltà.
L’elefante nella stanza
Cominciamo parlando dell’elefante nella stanza. Funziona la nostra sirenetta nera, che tanto ha acceso gli animi dei più conservatori, garantendo peraltro a Disney un sacco di promozione gratuita per il film? La risposta è semplice: sì. Funziona alla perfezione. Bailey è uno schianto di Sirenetta, la sua interpretazione è perfetta, tanto in mare quanto fuori. I suoi lineamenti, le sue espressioni, la sua fisicità, tutto concorre a darci una Ariel eccezionale. Per non parlare delle parti cantate, di quella sua voce pazzesca a regalarci un canto di sirena dolce e potente al contempo, ammaliante. E non c’è nessuna forzatura nell’avere una sirenetta nera nel mar dei caraibi, anzi…
Bailey, dunque, passa a pieni voti l’esame Sirenetta, e con lei chi ha fatto il casting.
Detto ciò, passiamo a parlare del film: l’inizio promette bene. Le scene nel mare in tempesta sono ben girate, con un’illuminazione minima a dare la giusta drammaticità all’epica potenza del mare, dominio di Tritone, Dio degli abissi.
Caratterizzazione dei personaggi e ambiente sottomarino
Il vascello del principe Eric è popolato da marinai che sembrano quasi pirati. Li vediamo dare la caccia, a colpi di arpione, a quella che credono essere una sirenza, timorosi che, come nelle leggende, questa li seduca col loro canto per poi annegarli e ucciderli.
Vedendoli accanirsi in questo modo, Eric, mostrando immediatamente una certa delicatezza e sensibilità, li ferma, per poi mostrargli, peraltro, che stavano inseguendo un povero delfino.
La situazione però, peggiora, visivamente, quando dalla superficie, scendiamo in fondo al mare. Tritone, con le sue figlie, sorelle di Ariel, ognuna in rappresentanza di un diverso mare, un diverso angolo del globo, si appresta ad iniziare una riunione, prima di notare l’assenza di Ariel. Le sorelle di Ariel sono tutte di etnie diverse, in rispetto della loro diversa provenienza geografica, hanno look estremamente colorati e vivaci, ma privi di dettagli notevoli o particolari. Sono più macchie di colore, che personaggi veri e propri, e questo anche per via di una caratterizzazione totalmente assente. Esistono, sono di diverse etnie, ma caratterialmente sono fotocopie l’una dell’altra, a lasciare che solo Ariel si distingua come figlia minore e ribelle contro una schiera di donne standard, non particolarmente interessate a fare la differenza, ad essere ascoltate, a fare una qualche differenza.
Qualcuno potrebbe obiettare che anche nel cartone originale fosse così, e a loro potremmo rispondere che il classico del 1989 durava 83 minuti, contro i 135 di questo. C’è quasi un’ora di differenza, un’ora di spazio in cui raccontare e caratterizzare un mondo affascinante come potrebbe essere quello sottomarino, se ci venisse mostrato.
Passando a parlare di tritone, interpretato da Javier Bardem, l’impatto col suo personaggio è traumatico. Sembra una testa umana, con parrucca e barba finte, appiccicato su un modello 3D di scarsa qualità, dal pessimo design e con le proporzioni un po’ casuali. Indossa un’armatura di un azzurro scialbo, di scarsa fattura, e non risulta minimamente imponente e minaccioso come la controparte animata, che invece sfoggiava un petto da body builder, capello bianco lungo, luminoso e fluente come una rockstar, e una barba bella corposa e morbida, palesemente curata, con shampoo e balsamo giornalieri.
Qui invece abbiamo il tritone di Wish, con sta parrucca grigia di plastica che si muove in maniera del tutto innaturale. E ciò vale per tutti i personaggi del mondo sottomarino, ad eccezione di Ariel, che ha ricevuto una maggiore cura.
Il mondo sottomarino, se possibile, nonostante l’ampia disponibilità di tempo per la sua caratterizzazione, ci arriva persino meno di quanto non facesse nel cartone classico. Non vediamo una società alternativa a quella umana, con le sue regole, le sue gerarchie, i suoi usi e costumi. Ci si limita a descrivere più o meno le stesse scene già viste nel cartone classico, perdendo però il colore, il ritmo ed il dinamismo dell’animazione, in favore di colori spenti, una fotografia scolastica e una regia, in generale, priva di guizzi originali, di reinterpretazioni intelligenti.
È il mondo della sirenetta, come lo conoscevamo, solo più brutto da vedere, preso a calci, poi, tecnicamente, dal mondo sottomarino di Avatar 2, film terribile, ma realizzato tecnicamente a dei livelli che questa Sirenetta non vede nemmeno da lontano.
Ci vuole coraggio…
Noi siamo a favore del fatto di fare remake, anche live action volendo, dei classici del ‘900 Disney, perché si offre la possibilità ad una nuova generazione di bambini di avere degli eroi, rivisti e aggiornati, in cui immedesimarsi, e ai loro genitori di rivivere le emozioni della propria infanzia. Ma come Disney, all’epoca, si prese la briga di adattare fiabe antiche, spesso molto violente, con tratti splatter – tipo Cenerentola – per farne opere adatte ad un pubblico di bambini, oggi ci aspetteremmo che faccia lo stesso, con lo stesso coraggio autoriale.
Invece no. Per dare un colpo al cerchio, ed uno alla botte, riprendono le proprie versioni del 900, le rifanno uguali, ficcando qui e lì, a forza, inclusività e multiculturalismo, e le rimettono al cinema. E questo è il caso della Sirenetta.
La sua storia viene ripresa pari-pari, aggiungendo qui e lì nuovi tratti caratteriali a questo o quel personaggio, senza però sconvolgerli eccessivamente.
Il 2023 richiede, a gran voce, remake coraggiosi, che si prendano la responsabilità autoriale di riscrivere i classici per renderli davvero moderni, non semplici copie sbiadite di meraviglie passate. Invece, in questa Sirenetta, di autoriale, non c’è nulla. Qualche spunto qui e lì per togliere qualche granello di polvere da caratterizzazioni vecchie oltre 30 anni, e stop.
Flounder eri così tenero e bellino…
Tornando al mondo sottomarino, i modelli 3D di Flounder e Sebastian sono terrificanti, in particolare Flounder. Walt Disney, la stessa casa di produzione di “Alla Ricerca di Nemo”, e dei suoi adorabili personaggi oceanici, ci regala delle reinterpretazioni da incubo degli amici di Ariel.
Il pesciolino Flounder è brutto, la pretesa di farne un pesce, in qualche modo, realistico, che parla, lo priva di tutta quella tenerezza che potevamo provare guardando Nemo e Dory. Sebastian è leggermente meglio, ma rimane un no. Scuttle poi, che nel cartone originale era un gabbiano, qui è una bassana, e ha la morte in quegli occhietti piccoli e inespressivi, nonostante il suo modello, come quello di Sebastian, sia animato anche bene, volendo.
Quanto a Ursula
Arriviamo, infine a Ursula. Melissa McCarthy è un’ottima interprete, e viene anche gestita molto meglio degli altri personaggi fin qui elencati. I suoi tentacoli funzionano, le sue movenze sono sinuose e fluide, ma anche per il suo personaggio, ci saremmo aspettati qualcosa di più a proposito di caratterizzazione. Rimane un po’ un cattivo macchietta, a tratti comica, mai realmente minacciosa e spaventosa, se non nel finale, ma per poco tempo, e senza ricevere una “fine” poi così epica. Facciamo una menzione particolare per l’attrice scelta per interpretarne la versione umana. Si tratta della bellissima Jessica Alexander, e, nel vederla abbiamo immaginato un universo parallelo in cui Disney ambienta la Sirenetta in Danimarca, come nella fiaba originale, e lei interpreta Ariel. Ci è sembrato che contrapporla all’Ariel di Bailey, sia in qualche modo una scelta precisa degli autori, in chiave simbolica.
L’ambiente fuori dall’acqua e altre considerazioni
Il film migliora quando dall’acqua ci trasferiamo sulla terra, dove la messa in scena risulta più convincente. Il principe Eric è bello e nei lineamenti ricorda quello del film animato, ma pecca un pochino a livello di caratterizzazione e carisma. Più del suo originale ha una personalità curiosa e inquieta, costantemente in cerca di nuovi orizzonti e avventure, cosa che lo unisce ad Ariel, oltre alla passione per il collezionismo. Ma poco più di questo. Il film è incentrato su Ariel, sulla sua lotta per fuggire dalla propria gabbia e dal proprio ruolo di principessa subordinata al volere del Re, in contrapposizione con Ursula e con le sue brame di potere. Eric in questo senso ha il ruolo della principessa da salvare, che timidamente e debolmente aiuta la protagonista quando serve.
Nelle parti ambientate sulla terra il film procede con un ritmo forse ancora troppo lento, ma in maniera più convincente, sempre alternando le parti recitate a quelle cantate e ballate. In queste, come detto, le voci dei protagonisti risuonano splendide, in brani iconici tratti dall’originale affiancati a pezzi nuovi, realizzati per l’occasione e che vanno a spezzare, a tratti, le sonorità classiche con suoni più moderni. Per qualcuno stona, per altri ci sta, qui va a gusti, ma in generale la qualità è buona.
La trama non vede particolari rivoluzioni. Apprezziamo il fatto che la storia d’amore tra principe e principessa si sviluppi su basi più solide della mera attrazione fisica, come avveniva invece nel classico del 1989, e che in generale il loro rapporto risulti più interessante ed equilibrato visto l’incontro delle loro personalità effettivamente affini, con la chicca di aggiungere “chiedi il permesso” nella canzone in cui Sebastian incoraggia Eric a baciare Ariel.
Il film, con tutte le pecche annunciate fino ad ora, ha comunque il merito di saper emozionare, nei momenti giusti, e di saper toccare certe corde emotive tanto nei bambini, quando negli adulti che rivedano qualcosa di sé, per esempio, nel rapporto tra Ariel e Tritone. Il finale vede il concludersi delle vicende con il classico scontro decisivo del bene contro il male, ma a dirla tutta, tolta la scena in cui Ursula ottiene il tritone e scatena tutta la sua furia di Dea degli abissi, il film non punta più di tanto su queste scene d’azione, che durano anche relativamente poco e si concludono senza troppe cerimonie.
La riflessione critica sul finale
Nel concludersi, il film offre un confronto tra la civiltà umana, abbastanza coerente con gli stereotipi fiabeschi di un mondo dell’800, e quella marina, la cui iconografia pesca a piene mani dall’immaginario queer, rappresentato in maniera che, ai nostri occhi pare un pochino grossolana e didascalica.
Solo che questo ci porta a porci una questione. Ci sono forzature, nel modo scelto da Disney di rappresentare la civiltà marina in questo modo così caratterizzato ed ispirato all’immaginario queer? È un quadro effettivamente rappresentativo e inclusivo? O è un’ennesima scelta un po’ improvvisata, più confacente al marketing che a reali necessità di equa rappresentazione?
O siamo noi ad avere un bias rispetto a queste cose, che tra 10, 15 o 20 anni risulterà solo un brutto ricordo di un passato problematico? È Disney che fa un po’ un fritto misto, o siamo noi ad avere la vista oscurata?
È una domanda a cui non abbiamo una risposta precisa. Resta la sensazione di aver visto, ancora una volta, Disney fare un po’ di casino, a livello di scrittura, nel tentativo di rappresentare un mondo di cui non coglie bene l’essenza, gli equilibri, la vera natura, limitandosi ad esporne il lato estetico, superficiale.
Conclusioni e voto
Detto questo, al netto dei difetti del film e di tutte le cose che si sarebbero potute fare meglio, il film in qualche modo funziona, e funzionerà ancor di più per i bambini che non faranno caso a tutte le sue pecche tecniche e alle sue pigrizie strutturali. Personalmente mi sono emozionata al punto di arrivare alle lacrime in uno specifico momento del finale, tanto che avrei stampato sulla recensione un 5 su 5 in quel momento.
Però, a mente fredda, gli diamo 3 su 5. Siamo su livelli chiaramente molto più alti rispetto al recente “Peter Pan e Wendy” di cui potrete presto trovare una recensione sempre qui sul nostro canale, ma non siamo ai livelli del buon “Aladin”, quello con Will Smith nei panni del genio, che in generale funziona meglio sotto tutti i punti di vista. Da Disney ci aspettiamo molto di più, e forse è colpa nostra, ma è un gigante con una potenza di fuoco tale, che non ha scuse di fronte a quella che è una palese pigrizia intellettuale.
Con la Sirenetta si è vista la loro paura tanto nel riproporre copie fedeli dei classici, tanto nel prendersi la responsabilità autoriale di riscriverli per davvero, e questo è un peccato imperdonabile, perché i bambini di oggi si meritano penne all’altezza, storie potenti e protagonisti veramente esemplari e al passo coi tempi.
E per “al passo coi tempi” intendiamo “al passo con la sensibilità dei tempi”, non “al passo col marketing”.