Fare arte significa avventurarsi nel proprio io, quello più oscuro, armati solo di una scatola di fiammiferi che ci illumini, per brevi istanti, la via.
Il viaggio di Maurizio Rosenzweig, e del suo Leonardo, è proprio questo. Come Dante nella selva oscura, Leonardo si avventura dentro di sé, e ci presenta le voci, diverse e contrastanti, del suo Io.
È un percorso doloroso, la cui cronologia si confonde tra il tempo fisico e quello della mente, all’interno del Leonardo padre, figlio e spirito artistico.
“La Sindrome di Leonardo” è un libro uscito nel 2023, di Maurizio Rosenzweig, edito da Feltrinelli Comics.
È davvero difficile affrontare un’opera come questa, un meta-fumetto che ci racconta di sé, del modo in cui è stato scritto, del perché esista, di che viaggio si faccia lo scrittore nel realizzarlo, perché quando un autore è bravo, i suoi traumi diventano i nostri, i suoi dolori escono dalle sue pagine e ci opprimono il petto mentre le sue ansie ci invadono il cuore e la mente. Leggendola, tutta d’un fiato, in una notte senza sonno, è venuto spontaneo tracciare un parallelismo con il numero di Ratman in cui Ortolani si confronta con la propria storia, con la promessa di darle una fine col numero 100, con la sua pretesa di potere sulla propria creatura, che si trasforma nel tempo in una tirannia della storia e dei suoi personaggi sull’autore stesso. E in quella prospettiva, l’autore diventa strumento del racconto, che in cambio offre nutrimento ed esistenza al suo creatore, in un rapporto di co-dipendenza.
Leonardo è un fumettista celebre, padre di una ragazza ormai grande, un matrimonio fallito alle spalle, ed una vita in bilico tra il suo bisogno di ribellione creativa e il necessario pragmatismo dell’uomo adulto. Lui è il protagonista della storia, ma il vero palcoscenico è la sua mente. Al suo interno i suoi personaggi, incarnazioni delle sue pulsioni interiori, si scontrano teatralmente, interpretando i ruoli di Es, Io e Super-Io Freudiani nel proteggere o abbattere Leonardo, a seconda dei momenti.
I personaggi interiori
Impariamo immediatamente a conoscere l’orso, che batte crudelmente il dito sull’orologio, a ricordare a Leonardo che la vita se ne va, il tempo passa, le occasioni e la giovinezza sfumano, e un’artista non è nulla senza una storia. Poi c’è Dr.Responsibility, un po’ Batman, un po’ Superman, il lato più censore e severo della sua personalità, severa incarnazione dell’attitudine genitoriale di riportare un bambino alle sue responsabilità, così da farne un adulto. Completa il terzetto principale la donna monocolo, l’amica comprensiva capace di infondere calore ed energia positiva, il “place to go to” quando la disperazione e l’ansia ci oscurano la vista, ci impediscono di respirare.
Di cosa parla “La sindrome di Leonardo”
Ci troviamo all’interno di una crisi creativa di Leonardo, e un artista in crisi creativa, è un artista che si annulla, che dubita della propria stessa esistenza, perché come dice il protagonista, lui non fa il fumettista, lui è un fumettista, un’artista che respira la propria arte, che mangia le proprie opere, senza le quali, semplicemente, muore. Nel piano narrativo scelto dall’autore non è la mente di Leonardo a infiltrarsi di tanto in tanto nelle vicende che vive, ma il contrario. È la realtà a interrompere i suoi flussi di coscienza, le sue paranoie, con obblighi e circostanze che lo distraggono dalla sua vera esistenza, quella intellettuale ed emotiva.
Leonardo è docente alla scuola del fumetto, ha una compagna, una figlia in procinto di laurearsi, una ex moglie, un padre anziano, editori, studenti, collaboratori, amici, e la sua vita lo porta a rimbalzare da un incontro all’altro, ma quello che viviamo noi in questo libro è più il percorso che lui fa per andare ora da questo, ora da quello, trascinandosi dietro tutti i suoi personaggi, veri e propri lati della sua personalità con cui dialogare, discutere, litigare, come l’Elliot Alderson di Sam Esmail.
In questo percorso, in cui sono continui i richiami nostalgici alla cultura pop degli anni 80 e 90, in particolare, viviamo un uomo che si sente di non appartenere ai tempi che vive. In lui sopravvive lo spirito irriverente della giovinezza, in lotta con quello più ansioso e responsabile dell’età adulta, e il loro scontro lo terrorizza, facendolo sentire in difetto verso quei giovani cui fatica sempre più a indicare una via in cui lui stesso creda.
Il tema della depressione
“La Sindrome di Leonardo” affronta il tema della depressione, e di quel sottile nichilismo che ti spinge a chiederti se abbia senso continuare a credere in ciò che si fa, nel valore della propria vita, nell’etica delle proprie scelte e azioni. Leonardo si sforza di mantenere accesa una fiamma di senso in un mondo che funziona per trend, mode, soldi, in cui qualcosa esiste solo se riesci a venderla.
E in questa prospettiva, la libertà creativa che si è conquistato negli anni, diventando un fumettista riconosciuto e di successo, diventa la sua gabbia.
Come si fa a scrivere una storia nuova, densa di significato, al passo coi tempi, di cui essere orgoglioso e che, al contempo, risulti fruibile e vendibile ad una generazione di giovani in cui non ci si riconosce più?
È ben più semplice pagare le bollette disegnando store di altri, storie che nemmeno leggeresti se non fosse parte del tuo lavoro, ma che vendono, funzionano, fatturano, pagano l’affitto, la spesa, la scuola dei tuoi figli, le spese mediche. Ma che affamano la tua anima.
La crisi di Leonardo è la crisi di ogni mente creativa, di ogni persona che si identifichi con ciò che fa, che viva per il confronto con il pubblico, certamente, ma prima ancora per il confronto con sé stesso, con le proprie aspettative, con la propria visione del mondo e del senso della vita.
Leonardo nel suo viaggio, al contempo, cerca un equilibrio, un senso al vivere, e insegue lo squilibrio, i salti nel vuoto, perché si rende conto che quando impara qualcosa, quando raggiunge un’altezza, perde interesse per essa, per mettersi in cerca di qualcosa di nuovo, una vetta più alta, una sfida più difficile, causando il proprio stesso esaurimento, in una corsa senza tregue, senza reali punti di arrivo.
E l’inquietudine ne è la diretta conseguenza. Leonardo vive l’inquietudine di doversi domandare se sia un’artista o solo uno che ha finto a lungo, e bene, di esserlo, se abbia fantasia o se si sia limitato a raccontare i propri ricordi fino a esaurirli. L’orso picchia sull’orologio, e lui non può far altro che incaponirsi nell’isterica ricerca di una storia che lo riporti in vita, che gli ridia forza e dignità, ma la sua mente lo spinge in labirinti artificiali, complessità inutili, in cerca di un riconoscimento esterno che lui è il primo a non concedere a sé stesso.
Maurizio Rosenzweig ci regala, ad un certo punto, vere e proprie bozze di suoi lavori, che diventano le bozze di Leonardo, e ad un tratto, a rompere il velo tra sé ed il proprio personaggio, disegna proprio sé stesso, con in bocca una pipa, intento a riflettere.
Chi inventa storie per lavoro, finisce per farlo anche con la propria vita, e la confusione che ne consegue è quella di Leonardo, che vediamo perdersi nella propria immaginazione, nel proprio passato, nei propri dolori, fino ad incontrare la sua Gwen Stacy ed i mostri della sua infanzia.
Leonardo veste i panni del Peter Pan di Robin Williams in “Hook: Capitan Uncino” nel cercare di parlare col proprio ragazzino interiore, ma nemmeno lì trova le risposte che cerca, al massimo un rifugio momentaneo, da cui la vita però, necessariamente, lo strappa.
L’opera è un percorso a salti e balzelli, ora in avanti, ora indietro, spesso di lato, con una cronologia che confonde i piani del reale e dell’immaginario, senza restituirci un’idea della durata effettiva degli avvenimenti. Possono essere poche ore, qualche giorno, o persino settimane e mesi. Rosenzweig del suo personaggio ci offre francobolli di vita, brandelli di pensiero, ma tutti insieme compongono il puzzle perfetto di un viaggio, il cui finale è tragico e doloroso, perché implica l’addio ad una persona amata e odiata, al contempo fondamentale e distruttiva, preziosa e dannosa, centro di gravità permanente e supernova di questioni irrisolte e dolori inaffrontati.
Conclusioni
La lettura di “La Sindrome di Leonardo” è un’esperienza dolorosa ed intensa quasi come deve essere stato scriverlo. L’autore mette sé stesso nei suoi personaggi, i propri pensieri, i propri traumi, e questo rende tanto il processo creativo, quanto la fruizione, un’esperienza profonda, immersiva, in cui le ansie dell’autore diventano le tue, perché in lui ti riconosci. La sua storia è in parte la tua, e il modo in cui la racconta ricalca il caos della tua mente, la violenza con cui le pulsioni vi si scontrano, l’asprezza e la severità delle voci che vi risuonano. Leonardo è un personaggio di Maurizio Rosenzweig, Leonardo, con la sua maglietta dei Kiss, è Maurizio Rosenzweig, ma Leonardo sei anche tu, che leggi, perché è capace di creare un ponte solido tra l’autore ed il suo lettore, rendendo la lettura un’esperienza intima e potente, capace di coinvolgere e commuovere fino a togliere il sonno.
In conclusione, un’opera da leggere a tutti i costi, capace di intrattenere e divertire con un umorismo brillante, e di sconvolgere ed emozionare con una profondità rara, disposta in un racconto scorrevole, mai barocco o inutilmente complesso, seppur affronti temi complessi e delicati come la depressione e la percezione e conoscenza di sé stessi in relazione al mondo, agli affetti e alle responsabilità famigliari e lavorative.