La nostra visione di “Troppo Azzurro” ha avuto un plus mica da poco: Barbagallo!
Il regista e – suo malgrado – attore protagonista del film, era in sala con noi. E se per tutto il film il suo personaggio, e la sua interpretazione, ci è sembrato fossero un pochino troppo “strani”, beh, è stato solo perché non avevamo ancora parlato con lui.
Poi però, chiusasi la proiezione, lui è apparso sotto lo schermo, col suo sorrisotto incerto, il fare agitato dell’introverso, e quelle risposte brevi di chi prova tutto il disagio del mondo a stare al centro dell’attenzione.
Esattamente il Dario del film.
Troppo azzurro: la trama
Troppo Azzurro è l’opera prima di Filippo Barbagallo, regista 29enne che esordisce anche come protagonista della pellicola, convinto, a suo dire, dai suoi produttori.
“Dario sei tu, dovresti farlo tu”, devono avergli detto.
E, sostanzialmente, avevano ragione.
E poi Elio Germano inizia ad avere la sua età, ri-trasformarlo in studente universitario risultava complesso.
La storia ci racconta la vita amorosa di un ragazzo estremamente introverso, timido, insicuro e totale incarnazione di quello che oggi definiamo “Stile di Attaccamento Evitante”. In sostanza, cosa fa? Si prende bene per una ragazza – o due come in questo film – si lancia in quella che sembrerebbe una relazione, ma appena le cose sembrano farsi serie – e in questo film il trigger sono le partenze per un viaggio di coppia – lui tira il freno a mano e scatena l’arma più devastante che la nostra epoca conosce: il ghosting.
Sparisce.
Il film sostanzialmente è tutto qui, a livello di trama.
Attori e ispirazioni di Troppo Azzurro
Poi però c’è tutto il contorno che Barbagallo costruisce per il proprio alter ego. Un gruppo di amici che si autodefiniscono “dei disagiati”, molto chiusi nel loro circolo privato a 4, estremamente poco propositivi quando si tratta di uscire dalle abitudini e provare qualcosa di nuovo. Praticamente la bolla di eco perfetta per Dario. Che però, ad un certo punto, si sente come soffocare. Sente di voler provare, osare, vivere di più. Propone una vacanza insieme agli amici.
Ma nisba. Ognuno ha il suo perché, la sua scusa, il suo motivo: ma la vacanza insieme la si fa l’anno prossimo. Forse. Magari. Vediamo. Ti facciamo sapere. Ci dobbiamo pensare.
E quando appare una ragazza nel gruppo, “Oh mio Dio, un alieno, che Dio ce ne scampi”.
La ragazza, come si vede nel trailer, è Lara, interpretata da una magnifica Martina Gatti, che intraprende una relazione con Dario. E prima di lei c’era stata Caterina, interpretata da una altrettanto brava Alice Benvenuti.
E in questo elemento, risiede quello che probabilmente è il punto più debole del film, a livello di scrittura.
Perché, queste ragazze, intraprendono una relazione con Dario?
Eravamo tentati di fare questa domanda a Filippo Barbagallo durante il Q&A, ma si sarebbe trasformata sostanzialmente in una domanda sulla sua vita privata. Perché è chiaro che il film muova da delle realtà che si sono verificate nella sua vita. E per questo motivo, la nascita delle relazioni con le due ragazze viene lasciata “non-detta”. E non spiegarla, non dare motivi comprensibili per cui le ragazze si prendano bene per lui, dà un pochino l’effetto che dava la commedia italiana anni ‘80, quella in cui ad un Jerry Calà qualsiasi si avvicinavano una giovanissima Mara Venier, Alba Parietti, Marina Suma o Vanessa Gravina. Solo che poi Jerry Calà le tradiva, maltrattava e ingannava. Filippo Barbagallo, chiaramente, no. Zero. I parallelismi con quel genere di commedia finiscono lì. Da quel momento in poi Dario ci ricorda, molto, Troisi. Un personaggio timido, introverso, che dà sfogo alla propria interiorità con una recitazione del tutto particolare, tutta sua. Che nel caso di Barbagallo chiaramente non arriva alla maturità e alla straordinarietà di Troisi. Infatti, lo mischia, tanto, con un altro dei suoi riferimenti, secondo noi. Che è Nanni Moretti. Il Nanni Moretti di “Ecce Bombo”. Con una spruzzatina di Woody Allen, che peraltro è uno dei registi preferiti di Barbagallo.
Critiche a Troppo Azzurro
Troppo Azzurro è, da un lato, una pagina di diario del suo autore, magari abbellita e romanzata, ma molto personale. Dall’altra, un incontro di influenze e ispirazioni dal cinema del passato, con Troisi e Moretti, secondo noi, a tracciare la strada che poi Filippo percorre. Con incertezze e qualche inconsistenza, ma con cuore.
Ci ha sorpreso vedere un Mastandrea in grandissimo spolvero nella parte del padre apprensivo, ma al contempo comprensivo e sensibile. La sua prestazione è stata letteralmente deliziosa, tanto che avremmo voluto averne di più, anche perché il rapporto con Valeria Milillo, nei panni della madre, funzionava da Dio, fortissima anche lei.
Bella, e ben ritratta, l’atmosfera universitaria in cui sono immersi i protagonisti, le cui giornate si incastrano nel tanto tempo libero tra una sessione d’esame e l’altra, con tempi che si dilatano a dare respiro alla mente e al corpo. I personaggi sono in bilico tra chi è già immerso nella vita adulta, e deve badare a lavorare per pagarsi l’affitto di una stanza, e chi invece ancora gode delle cure genitoriali, e vive nella stanzetta da liceale, ripulita dai poster per darsi un tono più maturo.
E le immaturità di Dario sono anche le immaturità di Filippo alla regia. Una regia buona, ma che, appunto, ogni tanto cade o in qualche scontatezza, o in qualche esagerazione innecessaria.
E ci riferiamo alle scene più intime. Nel momento in cui non vai a dare un quadro intimo dettagliato della vita emotiva e sessuale dei protagonisti, certe inquadrature – e ne abbiamo in mente due in particolare – risultano gratuite. Sconnesse dal resto del film.
La nudità è arma potente nel cinema, ma bisogna usarla con consapevolezza perché veicoli un senso. Qui è abbastanza gratuita, perché episodica, e non legata ad un particolare aspetto caratteriale del protagonista.
Quello che manca a questo film, per via di una certa immaturità del regista, sono dei connettivi forti che diano fluidità alla storia. Capisci tutto, funziona tutto, ma i legami tra un punto e l’altro sono deboli, e le relazioni umane perdono di quella potenza che ti farebbe emozionare maggiormente di fronte alle situazioni. Il film vuole andare in direzioni già percorse, oltre che dagli autori sopra citati, da gente come Virzì e Muccino, e fa un buon lavoro, ma si ferma a pochi metri dal traguardo.
Conclusioni
Per concludere, Troppo Azzurro è un buon lavoro. Buonissimo, se messo a paragone con quello che mediamente offre il cinema italiano. Barbagallo mostra di possedere una buona sensibilità, uno stile molto personale e ampi, ampissimi margini di crescita. Il suo è un prodotto riuscito, in cui si vede la potenzialità per fare di più. La storia dei suoi personaggi, a nostro modo di vedere, ben si presterebbe ad una serialità televisiva. Perchè Caterina, Lara e Dario sono personaggi verosimili, stratificati, a cui però la lunghezza di questo film non rende giustizia fino in fondo. E noi, nelle insicurezze di Dario e nelle fragilità delle due ragazze, ci saremmo immersi molto volentieri.
Il paragone che ci viene, da questo punto di vista, è con Summertime, serie TV italiana, liberamente ispirata ai libri di Moccia, uscita negli anni scorsi.
Quella prendeva le mosse da intenti simili, ma con risultati terribili, sia in termini di scrittura dei personaggi, sia in termini di recitazione. Eppure le vibes estive e post-adolescenziali le garantirono un buon successo. Troppo Azzurro, grazie alla sua buona scrittura e ai suoi personaggi – e interpreti – interessanti, rappresenterebbe una boccata d’aria fresca per la serialità italiana.
Noi, un pensierino, ce lo faremmo.
Al netto di tutto questo, il nostro voto al film è un buon 7. Il film ha pregi e difetti, come abbiamo cercato di spiegare, ma gode di un elemento che lo rende una visione piacevole e “calda”. Il cuore.
Ha ambizioni “minori” rispetto al recentissimo “Gloria!” di un’altra esordiente molto promettente, Margherita Vicario, ed ha anche una realizzazione tecnica inferiore, in termini di regia e fotografia. Ma arriva con più efficacia ai propri obiettivi, a ciò che vuole dire. Il finale arriva abbastanza “out of the blue”, a chiudere le vicende con una cesoia netta che non ci dice dove andrà a finire Dario, e in questo mutua un pochino il linguaggio del cortometraggio. Ma va bene, va bene così.
Barbagallo racconta e romanza un pezzo della sua vita, e pur dando per scontate cose che non dovrebbe, ci offre una bella cartolina, un bel viaggio indietro nel tempo. E anche qualche incazzatura per il comportamento del suo personaggio.
Dovremmo fare un video solo per discutere di lui, del suo comportamento, e dei suoi perché, da un punto di vista psicologico. Diteci nei commenti se può interessarvi. E mettete like al video se volete convincerci a farlo.
Regia e fotografia fanno il loro dovere, senza toccare punte di eccellenza, ma restando sempre ad un livello per cui il film è esteticamente convincente e fresco. Altro elemento molto caratterizzante e molto azzeccato, che aggiunge veramente tanto all’esperienza, è la colonna sonora dei Pop X. Tocco di classe della produzione, oltre al coinvolgimento amichevole, come viene detto nei titoli di coda, di Mastandrea e Melillo.
Una visione molto consigliata tanto ai Gen Z attualmente in procinto di affrontare la sessione d’esame estiva, sia a chi, come noi, di quei tempi ha una certa nostalgia. Perché in termini di nostalgia, rifacendosi a così tanti autori del passato, questo film funziona di brutto. Nella fase di Q&A, a fare i complimenti più convinti e commossi, sono state tre signore, tre mamme sulla cinquantina che si sono dette estasiate dalla visione. Forse anche smosse dal riferimento ad “Azzurro” di Celentano, nel titolo del film.
E noi, con la loro felicità in mente, andiamo a concludere il video. Come sempre vi ricordo di iscrivervi al canale, attivare le notifiche, mettere un like al video e scriverci in un commento, cosa ne pensate del film.
Vi è piaciuto? Vi siete rivisti nei personaggi? Avete avuto, o avete ancora in corso, storie paragonabili? Desiderate che vi si faccia un video tutorial su come affrontare le persone che si comportano come Dario?
Ditecelo, qui sotto, e risponderemo a tutti.