Napoleon: recensione film di Ridley Scott

Non è un documentario, non è un film storico, non è una storia d’amore. Napoleon sa soltanto quello che non è. Se solo capisse quello che è.

Trama di “Napoleon”

Parlando di trama, non faremo spoiler. Ci limitiamo a descrivere unicamente la prima scena, quella con cui il film ti accoglie in sala.

Il racconto comincia nel 1793, anno in cui Maria Antonietta, regina di Francia, viene separata dai suoi figli e ghigliottinata in piazza per la gioia dei rivoluzionari, che in quella esecuzione trovarono una distrazione dalla guerra che opponeva la Francia alle potenze restauratrici europee.

Scott qui si prende la prima licenza storica, mettendo Napoleone in piazza a osservare la truculenta decapitazione della regina di Francia, pochi mesi dopo l’esecuzione di suo marito Luigi XVI.

Bonaparte non presenziò realmente in quell’occasione, ma la scelta di Scott vuole come sancire un simbolico passaggio della staffetta, da una decaduta casata dei Borbone all’uomo nuovo.

Da quel momento il film ci mostra un Napoleone “diverso” da quello che ci aspetteremmo, o da quello che ci hanno raccontato i libri di storia del liceo.

Il condottiero che con i propri eserciti soggiogò l’Europa, arrivando ad un passo dallo sconfiggere persino la Russia, nel racconto di Scott diventa un ometto insicuro e ansioso, che vorrebbe rifarsi a Cesare e Alessandro Magno, ma che smania per ottenere l’approvazione di sua madre, prima, e di sua moglie Giuseppina, poi. Senza mai averla realmente.

Il rapporto tra il generale che diventa imperatore e sua moglie Giuseppina, si mette al centro della narrazione abbastanza presto, e non lo abbandona mai. Questo però non porta ad un approfondimento del loro legame e della loro co-dipendenza emotiva, ma solo ad un loro tratteggiamento quasi ossessivo, per le scene che gli sono dedicate, ma mai sufficientemente profondo o analitico. La scelta di raccontarci un Napoleone fuori dai canoni del conquistatore implacabile ci restituisce un ritratto più umano e contemporaneo del personaggio, ma la mancanza di un approfondimento più dettagliato limita l’empatia nei suoi confronti. E Scott questo approfondimento non può mai realmente farlo, perché sceglie di non sacrificare minimamente l’altro lato della vita di Napoleone: quello politico e militare.

La narrazione salta da un momento all’altro della sua ascesa al potere, mostrandocela per sommi capi, anche qui senza approfondire veramente nessuno dei personaggi di contorno. Non c’è particolare traccia di avversità, sotterfugi e mosse carismatiche. L’ascesa al trono appare lineare, semplice, sacrificata nel suo racconto al reiterarsi delle crisi con Giuseppina.

Napoleone, quindi, appare per tutto il film come una figura fragile, ansiosa, insicura, facilmente preda degli istinti e delle proprie paure. E ci domandiamo perché un paese come la Francia si sia fatta convincere non una, ma due volte, a sottomettersi alla potestà di un provincialotto insicuro e facile alle dipendenze emotive.

La pellicola non decide mai se concentrarsi principalmente sul Napoleone persona o sul Napoleone politico e stratega, non riesce a trovare il giusto equilibrio tra i due, fornendone un ritratto troppo frammentario per convincere a fondo.

A livello di trama dunque il film scorre, funziona, ma fatica a dare quelle emozioni che invece in “The Last Duel”, altro film storico di Scott del 2021, arrivavano forti e chiare, creando un pathos straordinario riguardo al destino dei suoi protagonisti principali. Napoleon invece è un one man show in cui il protagonista, nonostante il solito, straordinario, Joaquin Phoenix, non riesce a convincere fino in fondo, incapace di suscitare emozioni forti e definite, siano esse di pietà, sdegno o gloria. Promossa a pieni voti l’interpretazione di Vanessa Kirby, nei panni dell’Imperatrice Giuseppina, ma anche il suo personaggio, come quello di Phoenix, avrebbe meritato un approfondimento psicologico maggiore.

Analisi tecnica di “Napoleon”

Riferendoci invece al lato tecnico, parlando di Ridley Scott, già regista de “Il Gladiatore”, “Le Crociate” ed il già citato “The Last Duel”, parliamo di chi, per fare film storici, c’è nato. La sua regia e la fotografia di Dariusz Wolski, con cui collabora da tempo immemore, ci offrono delle battaglie di una bellezza straordinaria, la cui violenza diventa parte della tragicità del racconto. I soldati sul campo di battaglia non sono figurine lontane e sbiadite, ma carne viva, la cui morte ferisce l’occhio dello spettatore, e pone, almeno parzialmente, la lente d’ingrandimento sull’assurdità del trovarsi a migliaia, in un prato, per vedere chi riesce ad ammazzare più efficacemente l’altro. E l’assurdità di tutto questo è rimarcata tantissimo quando, a battaglia finita, i leader dei rispettivi eserciti si incontrano per discutere amabilmente come vecchi amici che si riuniscono dopo un litigio.

La sceneggiatura soffre, come detto, di un’eccessiva presenza di Giuseppina e della sua relazione tossica con Napoleone. Sarebbe stata perfetta se avesse fatto da fil rouge della storia, e motivazione dietro forze e debolezze del protagonista, o ancora di più se la narrazione fosse stata tutta incentrata sul rapporto tra i due, usando politica e guerre come sottofondo del dramma romantico e psicologico. Invece abbiamo un prodotto a metà, che perde il fuoco su entrambi i propri lati, offrendo un risultato gradevole, ma che non arriva alle vette cui potrebbe aspirare.

Ma il lato veramente poco soddisfacente del film è, incredibilmente, quello della colonna sonora. Abituati ad aspettarci qualcosa del livello di Hans Zimmer e Lisa Gerrard, come nel Gladiatore, rimaniamo delusi nel ritrovarci ad ascoltare temi musicali blandi, occasionali, utili a creare qui e lì l’atmosfera dell’epoca, ma incapaci di conferire alle battaglie e alle tragedie personali dell’Imperatore di Francia, il giusto pathos. Qualcuno si ricorda la scena in cui Commodo, interpretato da un giovane Joaquin Phoenix, strangola a morte suo padre Marco Antonio nel Gladiatore? O il momento in cui Massimo Decimo Meridio trova la sua famiglia massacrata nella propria villa di campagna? Ricordate la potenza della musica ad accompagnare quei momenti? In Napoleon non c’è nulla di tutto ciò. Si recupera un pochino nel finale, ma nulla che colpisca veramente la fantasia, o che rimanga nella testa.

Conclusioni

In conclusione, “Napoleon” di Ridley Scott, è un film ambizioso, a tratti magnifico nella propria messa in scena, ma che inciampa in questa sua ambizione e in alcune superficialità a livello di sceneggiatura. Napoleone è un personaggio certamente complesso, stratificato, controverso. Scott decide di tratteggiarne i lati più insicuri e ansiosi, donandogli un aspetto ben poco maestoso. E se questa è una scelta coraggiosa e sicuramente più veritiera rispetto al farne un Cesare ottocentesco, un po’ esagera nel dimenticarne la grandezza a livello di carisma politico e imprese militari, offrendoci una visione forse troppo macchiettistica di un personaggio che ha rivoluzionato l’Europa in maniera irreversibile.

Per tutti questi motivi, il nostro voto al film è un 7,5. Vorremmo dare un 8 per la grandiosità della messa in scena delle battaglie e per il coraggio di raccontare un Napoleone diverso. Ma al contempo il voto scende parecchio se pensiamo alla colonna sonora e allo sbilanciamento della sceneggiatura, per cui 7,5 ci appare la scelta più adeguata.

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