Il pianeta delle scimmie: il riassunto della trilogia

Puoi anche non aver mai visto un film di questa saga, ma almeno una volta nella vita ne hai sentito parlare, e per qualche motivo, ti si è stampata in testa.

Perché un mondo in cui a comandare siano le scimmie, e ad essere ghettizzati, siano gli umani, bene o male, è un’immagine che colpisce. E che si ritaglia un proprio posto nel nostro subconscio, battendo di tanto in tanto contro le pareti del conscio, con fare anche abbastanza polemico.

Perché questo è ciò che la saga del “Pianeta delle Scimmie” ha saputo fare, nel suo mezzo secolo di storia. Inserire all’interno del blockbuster delle tematiche etiche, sociali e animaliste, trattandole sì con leggerezza, ma anche con una certa abilità.

In questo articolo vi riassumeremo brevemente la trama della saga reboot, quella iniziata nel 2011 e proseguita nel 2014 con Apes Revolution e nel 2017 con The War, così che abbiate i ricordi belli freschi quando andrete al cinema a vedere “Il Regno del Pianeta delle Scimmie”. E daremo un voto ed un breve commento per ogni singolo film, così da misurare le aspettative per il sequel in arrivo.

L’alba del pianeta delle scimmie: il riassunto

Will Rodman, interpretato da James Franco, è uno scienziato della Gen-Sys, che sta sviluppando un farmaco in grado di curare l’Alzheimer, stimolando le cellule cerebrali all’autoriparazione. “L’Alba del Pianeta delle Scimmie” inizia con lo sviluppo di questo nuovo farmaco, l’ALZ-112, la cui fase di sviluppo è alla sperimentazione sulle scimmie. Will Rodman ha una motivazione estremamente personale per spingere sui tempi di sviluppo della cura, ovvero la speranza di curare suo padre affetto dalla malattia. La sperimentazione sulle scimmie, però, mette in luce una qualità particolare del farmaco, e del virus alla sua base: sembra rendere le scimmie estremamente intelligenti. Ne causa un’evoluzione celebrale che le porta a ragionare quasi come esseri umani, e in brevissimo tempo. Durante una presentazione cruciale, però, una scimmia alterata geneticamente, chiamata Bright Eyes, scatena il caos e viene abbattuta. Questo incidente porta alla chiusura del progetto e all’ordine di sopprimere tutte le scimmie coinvolte. Qui si mette in luce quanto sia spietata l’azienda farmacologica, la Gen-Sys, i cui interessi non sembrano avere minimamente a che fare con la cura delle persone, ma solo e soltanto col guadagno economico.

Qui la critica all’industria farmacologica non è nemmeno troppo velata, anzi, abbastanza tagliata col machete, visto che tra dirigenti e finanziatori non ce n’è uno che ti lasci dubbi sul fatto di essere cattivo e spietato. E se fosse un film fatto oggi, dopo tutto il caos dell’era covid, diremmo che si sarebbe potuto scrivere tutto un pochino meglio. Ma è un film del 2011, e l’America è quella che pochi anni prima ha visto Purdue Pharma pagare una delle multe più grandi della storia per aver contribuito alla terribile crisi di dipendenza da oppioidi che ha travolto – e travolge tutt’ora gli USA – con il suo OxyContin. Quindi il risentimento contro la categoria, in fondo, ci sta.

Tornando al film, Will scopre che Bright Eyes aveva dato alla luce un cucciolo, Cesare, che ha ereditato le modificazioni genetiche della madre, mostrando un’intelligenza superiore. Will, per salvarlo dall’abbattimento, decide di crescerlo segretamente come un figlio nella sua casa. Col passare degli anni, Cesare dimostra capacità cognitive eccezionali e forma un legame affettivo con Will e suo padre, Charles, cui nel frattempo Will ha somministrato un campione sperimentale di ALZ-112, ottenendo il risultato di vederlo non solo guarire dall’Alzheimer, ma addirittura diventare più intelligente e concentrato di quanto non fosse normalmente.

La trama prende una svolta quando Cesare attacca un vicino per difendere Charles. Questo comportamento violento porta Cesare a essere confinato in un rifugio per primati, gestito da persone crudeli. Qui, Cesare si trova isolato e maltrattato, ma ben presto usa la sua intelligenza per unire le altre scimmie. Ruba alcune fiale dell’ALZ-113, una versione più potente del farmaco, e la diffonde tra le scimmie del rifugio, migliorando la loro intelligenza. In questa fase del film diventa chiaro come il protagonista del film non sia il personaggio di James Franco, ma Cesare, interpretato al motion capture da Andy Serkis, che già in passato si era misurato con l’interpretazione di King Kong, nel film del 2005.

Le scimmie, ora unite e intelligenti sotto la guida di Cesare, pianificano una fuga dal rifugio. Questa li porta attraverso San Francisco fino al Redwood Forest, con l’obiettivo di trovare un rifugio. Durante la loro fuga, avviene un conflitto epico sul Golden Gate Bridge, dove le scimmie, usando strategia e forza, riescono a superare la polizia e a guadagnarsi la libertà.

Mentre le scimmie si ritirano nella foresta, il film si conclude lasciando intendere l’inizio di una nuova era di coesistenza — o conflitto — tra umani e scimmie. Parallelamente, l’ALZ-113 si rivela avere effetti collaterali mortali per gli umani, dando inizio a una pandemia imminente.

Nella sigla finale vediamo un’animazione di come il virus, per via di un singolo portatore, si diffonda per via aerea fino a contagiare, e decimare, tutto il mondo. Il mondo umano, si intende.

“L’Alba del pianeta delle Scimmie” è un ottimo film, dagli splendidi effetti speciali e con una buona regia, ancora un pochino ancorata a certi stilemi estetici del blockbuster anni 2000, ma comunque brillante nell’offrire quadri esteticamente d’impatto.

Buona la storia, molto classica, manichea nel distinguere i buoni dai cattivi, con la particolarità di invertire lo schema dell’uomo buono contro i mostri cattivi, per renderci l’idea opposta, in cui siano i “mostri” ad essere in pericolo, in una disperata fuga per la propria salvezza. E i “mostri”, qui, “mostri” non lo sono affatto. Sono animali. Arrabbiati, pericolosi, ma incolpevoli. E la sceneggiatura decide di renderli più umani degli umani quando decide che Cesare, ertosi a capo, ordina ai suoi simili di non uccidere quegli stessi umani che invece gli sparano addosso.

In questo la scimmia si prende il primato morale, facendo dell’uomo, e dell’idolatria del denaro, il vero mostro.

Per tutti questi motivi, a ”L’Alba del Pianeta delle Scimmie” diamo un buon 7,5. La trama sarebbe da 6,5, la fattura tecnica da 8,5, ma vogliamo premiare il fatto che 13 anni dopo il film sia invecchiato davvero bene, e si lasci guardare da un’ampia fetta di pubblico, soddisfacendo sia chi cerchi intrattenimento puro, sia chi voglia qualche significato che vada un minimo oltre.

Apes revolution – il pianeta delle scimmie: riassunto

Passiamo, dunque, al secondo capitolo, quello che in inglese si intitolerebbe “Dawn of the Planet of the Apes” ma che in italiano è stato cambiato in “Apes Revolution”, perché se tradotto, avrebbe avuto lo stesso identico titolo del primo film.

Cambia la regia e cambia anche il cast, fatta eccezione per Andy Serkis che torna per interpretare Cesare. Matt Reeves va a sostituire Rupert Wyatt alla regia, e questo la trasporta un passo in avanti rispetto a quella del primo film, fornendoci una visione più contemporanea del blockbuster, pur rifacendosi a generi già in voga a inizio millennio.

Ci riferiamo ai film sulle conseguenze di una pandemia immaginaria e a quelli post apocalittici, con un’umanità decimata e paranoica, chiusa in micro-gusci sparsi per il pianeta e spesso in conflitto tra loro. Il tutto con un’estetica alla Kenshiro/The Last of Us.

Apes Revolution comincia dove ci aveva lasciati la sigla finale del film precedente. E non ci riferiamo a James Franco che si rifà una vita e, magari, una famiglia, con la sua bella fidanzata. No. Lui probabilmente, 99%, è morto, e la fidanzata con lui. Il mondo è stato decimato dalla diffusione di quel virus che nei suoi piani doveva curare l’Alzheimer. Il 95% degli infettati è morto per la malattia, dei 5% che sono sopravvissuti, la gran parte è morta per guerre, esplosioni nucleari e violenze generiche.

Le scimmie, al contrario, si sono costituite a società intorno alla guida di Cesare, e vivono proprio nella foresta in cui li vediamo scappare dopo essere fuggiti da San Francisco.

Cesare ha una compagna e due figli, uno dei quali neonato. Il film ci mostra le loro pratiche di vita, la caccia, le relazioni sociali, quelle politiche e gerarchiche. Sembra in tutto e per tutto una società umana primitiva. Primitiva, ma non troppo, perché le scimmie comunque sono perfettamente a conoscenza della tecnologia. Inoltre, conoscono il linguaggio parlato e persino quello scritto.

Cesare poi ha imposto una rigida etica dedita alla non-violenza all’interno della sua comunità. Scimmia non uccide scimmia. In teoria.

Degli umani non c’è traccia da tempo, tanto che le scimmie li credono estinti.

Finché.

Finché un gruppo di umani sopravvissuti, guidati da Malcolm e dalla sua compagna Ellie, entra nella foresta cercando di raggiungere una diga idroelettrica. Il loro obiettivo è ripristinare la centrale e l’energia elettrica a San Francisco, dove un’altra fazione di umani, guidata dal rigido Dreyfus, interpretato da Gary Oldman, si è rifugiata. Quando un giovane umano spara per paura a una delle scimmie, l’incidente risveglia tensioni e diffidenze.

Cesare, spinto dagli istinti paranoici e guerrafondai di Koba, la scimmia che abbiamo visto subire crudeli esperimenti nel film precedente, decide di mostrare la forza e l’autonomia delle scimmie affrontando gli umani nella loro città per comunicare che il territorio delle foreste è off-limits. Tuttavia, riconoscendo la possibilità di una coesistenza pacifica, concede a Malcolm e al suo gruppo di lavorare alla diga sotto stretta sorveglianza delle scimmie.

Nel frattempo, la diffidenza cresce tra alcune scimmie, in particolare Koba, che nutre un odio profondo verso gli umani a causa delle torture subite nei laboratori. Koba sfida l’autorità di Cesare, sostenendo che gli umani non possono essere creduti, ma viene sconfitto, prima verbalmente, poi fisicamente, e ottiene entrambe le volte il perdono del suo capo. Decide comunque di muoversi autonomamente e indagare sugli umani, seguendoli fino alla loro base. Dopo aver scoperto un arsenale di armi nella loro città, Koba decide di agire unilateralmente.

Ruba un fucile automatico, con cui inscena l’omicidio di Cesare, cui spara lui stesso appena prima di mollare l’arma e nascondersi, così che le altre scimmie trovino l’arma e diano la colpa agli umani. Cesare, colpito quasi a morte, cade dal dirupo e il suo corpo si perde nella notte, tra gli alberi della foresta. Questo va a distruggere ogni possibilità di convivenza. Gli umani, infatti, con l’aiuto delle scimmie, erano riusciti a ripristinare la centrale idroelettrica, e Ellie, la compagna di Malcolm, aveva curato Cornelia, la compagna di Cesare, salvandola da morte sicura, causata da un’infezione post parto. Questo aveva creato un clima di fiducia, per cui le relazioni uomini-scimmie si erano instradate su una pacifica coesistenza.

Koba, dunque, approfittando della sparizione di Cesare, dato per morto, prende il comando delle scimmie e lancia un assalto armato contro la colonia umana, dando il via a un sanguinoso conflitto. Le scimmie prima di assaltare la base umana, si impadroniscono del loro arsenale, composto da centinaia di fucili automatici. Poi, in sella a cavalli, si gettano, armi spianate, al massacro. Mentre la guerra infuria, Malcolm trova Cesare, lo salva e Ellie lo opera e lo aiuta a riprendersi. Ristabilita la fiducia, insieme pianificano di fermare Koba e riportare la pace.

Il climax del film vede Cesare e Koba affrontarsi in un drammatico confronto sulla torre del comando umano, mentre al contempo Malcolm affronta Dreyfus, che grazie all’elettricità è riuscito a contattare l’esercito, che si sta dirigendo a San Francisco per sterminare le scimmie. In questo film, a differenza del suo predecessore, il manicheismo che individuava gli uomini come i cattivi e gli animali come i buoni, sparisce del tutto. E lo dice Cesare stesso: “Pensavo che le scimmie fossero migliori degli umani. Ora mi rendo conto che siamo identici”. E, infatti, piuttosto che in specie, improvvisamente il mondo si divide in pacifici e guerrafondai, individui sensibili e individui paranoici e violenti. Cesare prevale, Koba viene sconfitto e ucciso da Cesare, che supera quel limite che lui stesso aveva imposto e a cui Koba si rifà nel momento della sconfitta: “Scimmia non uccide Scimmia”. Ma Cesare, a quel punto, gli risponde “Tu non sei una scimmia”. E lo getta nel baratro, osservandone la caduta e la morte, come Scar con Mufasa.

Ma è purtroppo chiaro che il conflitto ha aperto una ferita profonda tra le due specie. Malcolm avverte Cesare che l’esercito umano si sta avvicinando, e Cesare, dopo averne riconosciuto l’amicizia ed il suo essere una persona buona, proprio come l’uomo che l’ha cresciuto, Will Rodman, si prepara a difendere la sua comunità in un conflitto inevitabile.

Un conflitto che, ammette lui stesso, essere stato iniziato dalle scimmie.

Ma “gli esseri umani non perdonano”. E tutto quello che può fare è prepararsi a difendersi, a difendere la sua gente, in una guerra che non vuole, che non ha cercato, e in cui non vede alcun senso. Ma che deve combattere. Chiede a Malcolm di scappare, di mettersi in salvo. E il film finisce com’era iniziato, con un inquadratura stretta sui suoi occhi.

Il film si conclude con Cesare che, riaffermata la sua leadership, si prepara a fronteggiare nuove sfide, con la consapevolezza che la guerra tra umani e scimmie è appena iniziata.

Questo film supera il precedente sostanzialmente sotto tutti i punti di vista. Ha più azione, più questioni etiche, più pathos e più dramma. Pecca in qualche momento nonsense, in qualche scelta nonsense di alcuni protagonisti, ma tutto rientra nella sceneggiatura classica di un blockbuster d’azione. Blockbuster che però vuole dare di più, dire di più, prendendosi tutti i rischi del caso.

Infatti, se dovessimo giudicarlo semplicemente come film d’azione, per il puro intrattenimento, saremmo sull’8,5. Se invece teniamo conto della scrittura, delle ambizioni concettuali e di qualche inciampo nelle caratterizzazioni, il voto sta tra il 7 ed il 7,5.

Per questo motivo, il voto al film è un tondo 8. Supera il precedente, già molto buono, sotto tutti i punti di vista, garantendo un finale che conclude la vicenda pur aprendo alla sua continuazione. Matt Reeves porta una regia più fresca e d’effetto, capace di giocare tanto con i campi larghi quanto con inquadrature molto strette su viso di Cesare, vera stella polare del film, cartina tornasole degli umori delle scimmie e loro ponte con il mondo umano.

The War – Il pianeta delle scimmie: riassunto

E con le scimmie che, loro malgrado, si preparano alla guerra con gli umani, arriviamo al terzo film, quello che si propone di concludere la trilogia di Cesare. Parliamo di “The War for the Planet of The Apes”, con la conferma di Matt Reeves alla regia e di Andy Serkis nei panni digitali di Cesare.

Il film inizia con Cesare e la sua comunità di scimmie ancora nascosti nelle foreste, mentre cercano di sopravvivere agli attacchi continui da parte delle forze militari umane guidate dal crudele Colonnello McCullough. Gli umani cercano Cesare da ormai due anni, il tempo passato dalla caduta di Koba. Qualcuno lo dà anche per morto. Nel frattempo, lui, con la sua cerchia ristretta, pianifica di abbandonare la foresta e trasferire l’intera comunità dove gli umani non possano trovarli. Stabilito il piano, però, a pochi giorni dalla partenza, gli umani, grazie al tradimento di Winter, trovano il loro rifugio segreto dietro una cascata, e attaccano, uccidendo Cornelia e Blue Eyes, la famiglia di Cesare.

È McCullough in persona a farlo e Cesare lo vede con i suoi occhi mentre scappa, lasciandosi i morti alle spalle.

Devastato dal dolore e assetato di vendetta, Cesare decide di affrontare il Colonnello. Mentre la maggior parte della comunità delle scimmie si sposta verso un luogo più sicuro, Cesare, insieme a pochi fidati compagni – tra cui Maurice, Rocket e Luca – intraprende un viaggio per trovare e uccidere il Colonnello. Lungo il cammino, incontrano una giovane ragazza umana muta, che Maurice decide di salvare nonostante le obiezioni di Cesare.

Arrivati al campo base del Colonnello, Cesare scopre che le scimmie catturate sono state ridotte in schiavitù per costruire un muro di difesa contro un imminente attacco da parte di altre forze militari umane. Cesare viene catturato e viene a sapere dal Colonnello la sua visione distopica: questi gli spiega come che il virus che ha decimato l’umanità abbia subito una mutazione, rendendo gli umani infetti incapaci di parlare, cosa che spiega il mutismo della ragazza, che Maurice ha deciso di chiamare “Nova”. Questa nuova fase del virus porta gli umani rimanenti, incluso il Colonnello, a una crescente disperazione. Li retrocede a bestie, a suo dire. Lui stesso ha ammazzato, con soddisfazione, suo figlio, poiché infetto.

McCullough crede che uccidere gli infetti sia l’unico modo per salvare l’umanità dalla regressione completa.

Cesare subisce atroci torture e viene sottoposto ad un calvario che fa impallidire “La Passione di Cristo”. Perché Cesare, in fin dei conti, per il proprio popolo, è quanto di più messianico ci possa mai essere, essendo un misto tra Gesù e Mosè.

Dopo una strenua resistenza, e con l’aiuto di un ex scimmia da laboratorio, Bad Ape, di Maurice, di Rocket e di Nova, Cesare riesce a liberare le scimmie prigioniere. Proprio in quel momento, il campo viene attaccato dalle forze rivali del Colonnello, e scoppia un caos totale. Liberato il proprio popolo, però, Cesare ammette di non essere in grado di liberarsi dall’odio, proprio come Koba prima di lui. Così torna a cercare il Colonnello. Quando però lo trova, questi è ormai infettato dal virus mutato, a causa del contatto con la bambolina di Nova, portata qualche ora prima dalla ragazzina nella gabbia di Cesare. Perde quindi la capacità di parlare, e questo lo getta nella più nera delle disperazioni, tanto che Cesare lo trova sanguinante e ubriaco, incapace di qualsiasi cosa. Così, puntatagli la pistola alla fronte, esita a premere il grilletto. Abbandona l’arma, negando il colpo di grazia al suo nemico. Che se lo deve dare da solo, impugnando la pistola per spararsi.

Una valanga arriva, pochi minuti dopo, a spazzare quanto rimasto dell’esercito umano, festante dopo aver sconfitto le forze del Colonnello.

Le scimmie grazie alla loro superiore agilità, si salvano arrampicandosi sugli alberi, ma per gli umani non c’è scampo.

Le paure di McCullough quindi si avverano, in una profezia che lui stesso ha portato a compimento, senza rendersene conto.

Le scimmie sono intelligenti quanto gli umani, ma molto più forti e resistenti. E il mondo ora è loro.

Cesare conduce la sua comunità alla terra promessa. Ma proprio come Mosè, non vi entra. Muore prima di varcarne la soglia, come a pagare dazio per i peccati commessi, per i limiti superati.

Muore portando con sé tutto il male di cui è stato testimone, in una simbolica purificazione della sua tribù. Maurice gli dice addio promettendogli di raccontare la sua storia a suo figlio e alle future generazioni di scimmie.

Woody Harrelson interpreta il Colonnello McCullough, l’antagonista umano del film. Il suo personaggio è un leader militare determinato e spietato che vede le scimmie come una minaccia all’esistenza umana. Harrelson offre una performance intensa e carismatica, rendendo il Colonnello un villain memorabile, la cui crudeltà è motivata da una convinzione tragica nella necessità delle sue azioni. La figura del Colonnello echeggia il personaggio del Colonnello Kurtz in “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, sia nella sua natura ossessionata e autoritaria, sia nel suo isolamento auto-imposto. Questo riferimento è evidenziato visivamente nell’immagine del Colonnello con il viso dipinto simile a quello di Kurtz. Tutto il film fa diversi riferimenti ad “Apocalypse Now”, e questo è reso lapalissiano quando su un muro troviamo la scritta “Ape-ocalypse Now”.

Inoltre, il film trae elementi tematici e visivi da “Il ponte sul fiume Kwai”, mostrando le scimmie costrette a costruire infrastrutture per i loro carcerieri umani, parallelo alla costruzione del ponte da parte dei prigionieri di guerra nel film del 1957. Questi riferimenti non solo arricchiscono la narrazione di “The War”, ma aggiungono anche uno strato di profondità storica e cinematografica, collegando la lotta delle scimmie a temi universali di guerra, prigionia e resistenza.

Gli effetti visivi in questo film raggiungono l’apice della serie, venendo candidati anche agli Oscar. Idem la regia di Reeves, estremamente convincente, con un’opera che è un po’ film di guerra, un po’ western, sempre con quella vena biblica e quegli echi di The Last of Us.

Per tutti questi motivi, la conclusione della trilogia di Cesare, a nostro modo di vedere, merita un bell’8,5. Saremmo tentati dal 9, perché per la maggior parte delle cose lo merita. Restiamo sotto la soglia dell’eccellenza assoluta solo per il manicheismo che torna a permeare la narrazione. McCullough è un cattivo credibile e spaventoso, ma forse un pochino troppo piatto. Nemmeno la tragedia di aver dovuto uccidere suo figlio aggiunge qualcosa alla sua caratterizzazione. Qui gli umani sono solo cattivi, tutti. E le scimmie, 99 volte su 100, sono buone. Una cosa che il secondo film aveva trattato in maniera diametralmente opposta, portando Cesare a riconoscere identità tra uomini e scimmie.

Una scrittura più sfaccettata dei personaggi umani avrebbe fatto di questo film un assoluto capolavoro del suo genere. Ma anche così com’è, rimane un gran bel pezzo di Cinema.

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