Green Border, ci ha lasciati senza una singola parola. Abbiamo voluto smarcare immediatamente la questione voto, perché chiunque deve sentirsi motivato ad andare al cinema a vedere questo film gigante, dalla potenza espressiva mastodontica.
Inziamo…
Questa recensione sarà senza spoiler, nel senso che la trama del film è quella che potete capire guardando il trailer, e racconta la storia di una famiglia siriana che in fuga dalla guerra e che cerca di raggiungere dei parenti in Svezia, finendo incastrata nel Green Border, il confine tra Bielorussia e Polonia, usati da Lukashenko come strumento di pressione sull’Unione Europea, e visti da Duda, a capo del governo polacco fino a pochi mesi fa, come spazzatura da rimandare indietro.
“Spazzatura” è il termine esatto per indicare il modo in cui sono trattati i migranti dai governi e dalle loro braccia armate, le guardie di frontiera. E come sacchi di spazzatura li vediamo venire respinti, scacciati, picchiati, umiliati, persino uccisi…
E non ci sono parole per descrivere la violenza dei quadri che Agnieszka Holland, regista e sceneggiatrice, arriva a presentarci, con una scrittura che porta il suo film quasi nella dimensione di un reality show sadico e perverso, in cui ci sembra di osservare persone vere, con ferite vere, lividi veri, piaghe vere, portati ogni secondo più lontani da qualsiasi limite di disumanità.
E la regia, la fotografia, si fanno strumento calibrato alla perfezione per prendere a schiaffi chiunque abbia il coraggio di sedersi in poltrona a guardare.
Green Border fa un male cane.
Da dove comincia il film
Il film comincia con questa bella famiglia, rappresentata così bene da sembrare reale, a bordo di un aereo per la Bielorussia. Lukashenko attira in questo modo i migranti nel proprio paese, facendo credere loro che sia un’alternativa sicura ai viaggi sui barconi, e questo lo sentiamo dire dalla madre di famiglia, intenta a badare ai propri bambini.
Seduti sull’aereo, ci raccontano brevemente della vita in Siria, delle violenze dell’Isis, degli orrori della guerra, e il film sembra quasi rassicurarci sul fatto che abbiano un piano preciso e sicuro per arrivare dai parenti in Svezia. E il tuo cuore, per tutelarsi, cerca persino di convincersi che andrà così. E quando li vedi uscire dall’aeroporto come normali turisti, ti sembra, e sembra anche a loro, che il peggio sia passato, che la pace sia finalmente giunta, e che la vita per loro stia ricominciando.
Ma una volta giunti al confine, lasciata la città, allontanatisi dalla “civiltà”, comincia un incubo che chi non veda questo film coi propri occhi, difficilmente riuscirà a immaginare.
A meno di essere stati lì di persona.
Questo film dovrebbe essere inserito nei programmi scolastici
Questo film dovrebbe essere inserito nei programmi scolastici dei licei. Questo film va visto, a tutti i costi, per contribuire a fare delle nuove generazioni individui molto meno indifferenti di quelle passate. Perché è impossibile rimanere indifferenti di fronte ad un’opera simile.
Perché dal quadro dipinto da Holland esce un ritratto di un’umanità abbruttitasi così tanto da riportarci in quel posto in cui giuravamo non saremmo tornati. Le guardie di frontiera bielorusse e polacche sono omologhe rivisitazioni delle SS naziste. Nella propaganda che descrive i migranti come bestie da temere, respingere e uccidere riecheggia quella glorificata e lodata nel Mein Kampf da Hitler. E l’indifferenza, e complicità, della gente, ci riporta al periodo tra il 1933 e 1945.
“Se ci tieni a loro, portateli a casa tua”
è la frase che sentiamo nel film, ma che abbiamo sentito ripetere ossessivamente da gente come Salvini e Meloni, negli anni, per restare solo in Italia. E in generale parte della retorica disumanizzante in bocca a tutte le destre europee e mondiali, retorica che, priva di una qualsiasi opposizione credibile, le ha portate a guadagnare enormi consensi e potere. Fino a trovarci con un’Europa di cui fanno parte governi come quello polacco, così ben dipinto in questo film, o quello ungherese, che meriterebbe un film a parte. E, incredibilmente, in questo dipinto desolante, le voci contrarie e di dissenso sono deboli, appena udibili, facilmente ignorabili.
Denuncia politica? Questo è Green Border.
Il mondo è qui a giustificare l’inevitabilità di mali assolutamente evitabili. Ci troviamo in un’epoca in cui il Papa arriva a dire che Putin, il padrone di Lukashenko, mette in atto queste politiche perchè “provocato” dall’accerchiamento della NATO. Giustificandolo, in qualche modo. Siamo in un’epoca in cui Duda ha perso le elezioni, finalmente, in Polonia, mantenendo però la posizione di primo partito in un paese a cui ha tolto il diritto all’aborto, in cui ha istituito zone LGBT Free, ovvero comuni ufficialmente dichiaratisi ostili alla presenza di persone appartenenti alla comunità.
E che ha portato a mettere in atto le politiche che in questo film ci vengono descritte alla perfezione. Ma alla perfezione davvero. E che, purtroppo, non vengono messe in pratica soltanto lì, in Europa.
E tutto questo con l’amicizia dichiarata e ufficiale di Salvini, Meloni e di tutte le estreme destre europee. In un paradosso per cui Salvini poteva definirsi contemporaneamente amico di Putin e Duda, capi di due paesi con un rapporto, storicamente e attualmente, estremamente conflittuale.
E se vi sembra che dal parlare del film ci si sia spostati a parlare di politica, vi sbagliate, perché il film questo fa. Senza citare leader politici, tranne, appunto, Putin e Lukashenko, Holland ci mostra le conseguenze della politica sulla carne umana, su persone che ci somigliano drammaticamente, e che hanno l’unica colpa di essere nati in coordinate geografiche sfortunate. Di una sfortuna però, non casuale, ma colpevole. E la cui colpa è a carico del mondo intero, delle sue politiche, delle sue disumanità.
Della sua indifferenza.
Considerazioni conclusive
Questo film prende l’indifferenza e la schiaffeggia, la abbatte, scuotendo e ferendo lo spettatore. Ma senza la pesantezza di uno sterile discorso accusatorio che si limiti a dire “ehi tu, è colpa tua”.
Green Border non fa questo. Green Border ti prende per mano e ti porta in quelle foreste. Green Border prende le tue paure, i tuoi pregiudizi e preconcetti e li mette alla prova, incarnandoti ora in Julia, la psicologa, ora in una guardia di frontiera polacca. E non usa retorica nel farlo. Non si raccontano storie di eroi senza macchia disposti a morire per il bene. Si racconta la storia di persone reali, su tutti i fronti. Ed è questo a fare male.
È questo a farlo sembrare il più dettagliato e terrificante dei documentari.
Ed è questo a farcelo giudicare come un film letteralmente imperdibile.
Se nella scorsa recensione avevamo detto di questo film l’essere una descrizione molto accurata di contesti estremamente verosimili, incapace però di assurgere a capolavoro per la mancanza di una mano cinematografica eccelsa, qui non è così.
La scrittura di Holland, la regia di Holland, il montaggio, la scelta del bianco e nero, la pazzesca caratterizzazione e interpretazione dei personaggi, portano Green Border nel quadro dei capolavori totali.
Noi, a differenza del solito, non approfondiremo i dettagli specifici del film in questa occasione, perché la storia è quella che abbiamo riassunto poco sopra, e le singole situazioni, raccontate, perdono un pochino di quell’impatto devastante che hanno quando le vedi, anche perché ci siamo abituati in qualche modo a leggerle sui giornali e sentirle descritte in TV, ma siamo disposti a farlo qualora qualcuno di voi abbia delle questioni e ce le esponga nei commenti.
Questo film ci ha distorto l’umore e appesantito la giornata, ma per i motivi giusti. Per quanto uno possa volersi mettere a cercare il pelo nell’uovo per dire che un film abbia dei difetti, farlo di fronte ad un’opera così potente significa fare esercizio narcisistico di perfezionismo, e noi non ce lo possiamo né vogliamo permettere.
Per questo motivo, dopo Povere Creature!, assegniamo il secondo perfect score del 2024, un anno che, a quanto pare, è partito col botto.