Emily è un film del 2023, per la regia dell’esordiente Frances O’Connor, con Emma Mackey nei panni e nella penna di Emily Bronte, Oliver Jackson Cohen nell’abito talare di William Weightman, e Fionn Whitehead ad interpretare il fratello ribelle e intellettuale di Emily, Branwell.
Siamo negli anni ’40 del 1800. I grandi occhi espressivi di Emma Mackey ci portano immediatamente nella vita, nei dolori, nelle tragedie della famiglia Bronte. Nel casale di campagna in cui Emily scriverà il suo capolavoro “Cime Tempestose”, conosciamo le sue sorelle Anne e Charlotte, suo fratello Branwell, suo padre Patrick, il reverendo del paese, e William, il suo giovane curato.
La regista e autrice del film, Frances O’Connor, ci offre immediatamente un quadro di ciò che il film punta ad essere: un biopic intimista e raffinato, che, prendendosi diverse licenze creative, mischia la storia di Cime Tempestose e quella della sua scrittrice, in una sintesi intensa, potente, in grado di commuovere ed emozionare.
Emily è una ragazza dell’800, in una famiglia dell’800, e la regista ha la saggia idea di evitare reinterpretazioni moderne volte a farne un’eroina femminista contemporanea. Il quadro valoriale in cui è immersa è quello della propria epoca, con tutte le sue criticità, ma, nonostante ciò, anzi, proprio per questo motivo, parla forte e chiaro a noi, agli spettatori dei nostri giorni, immersi come siamo in un’epoca che guarda al passato con nostalgia e al futuro con paura.
Emily è la strana della famiglia, la strana del paese in cui è cresciuta, perso nella brughiera dello Yorkshire. Orfana di madre, in lei convive il desiderio di essere amata e approvata dal proprio padre, un severo reverendo di campagna, e quello di trovare sé stessa nella propria arte e nella propria libertà di pensiero.
Il suo non è il classico personaggio, visto e rivisto, della ribelle infusa del fuoco divino della saggezza. Non è l’angelo della rivolta che rompe le catene e si costituisce a donna libera contro tutto e tutti. Ha in sé una luce, un fuoco, ma è soffocato e oppresso dalle regole sociali del proprio mondo, della propria famiglia. E non impugna una spada per distruggerle, non si costituisce a Giovanna d’Arco per sfidare le convenzioni, anzi, in tanti frangenti è più in lotta con sé stessa che con lo spirito del proprio tempo.
Tra istinti autodistruttivi, repulsione istintiva per l’autorità incarcerante dell’educazione vittoriana, e le potenti pulsioni del suo cuore, il suo personaggio si costruisce e costituisce davanti ad i nostri occhi. E questo ce la fa amare, superando qualsiasi distinzione e ruolo di genere. Emily senza volerlo, si erge a simbolo di libertà quando impara semplicemente a gridare nel mezzo di una radura deserta, quando riconosce nell’amore il senso della vita, e quando spoglia di senso tutti i costumi del proprio tempo con le proprie poesie, con la propria arte, con le proprie trasgressioni.
Emily soffre, ma non come la donna paziente che tollera e sopporta per amore, figura angelica ed esaltata in tutto il rinascimento. Emily soffre per l’impazienza di prendere la propria esistenza in mano, di fare di sé ciò che vuole essere, e non ciò che ci si aspetta da lei. Ma non lo fa mai “esteticamente”, per mezzo quindi di comportamenti espliciti, palesi, da eroina. Lo fa nel quadro di una vita difficile, di una società complessa, in cui fare l’eroina può voler dire finire ammazzata. Lei vuole vivere, vuole essere, non ha la pretesa di imporsi come esempio, e proprio per questo lo diventa. Proprio per questo il suo messaggio è così forte e scevro di ogni retorica. Emily è carne viva, e le sue parole sono schiaffi potenti, commoventi, seducenti e tragici.
Specchio della sua luce interiore, benzina per il fuoco che le arde nel petto, è Branwell, suo fratello. All’opposto del maschio ottocentesco, rude e insensibile, Branwell è spirito libero, artistico, reso vivo dalla propria ambizione ad una vita diversa da quella pensata per lui da suo padre, col quale è in forte contrasto.
Il film ci regala un quadro splendido nel ritrarre il rapporto di amicizia ed empatia tra fratello e sorella. I due trovano nelle proprie follie, nelle proprie trasgressioni, quella libertà che li mantiene in vita, che li fa respirare. Dal confronto tra loro trovano energia e motivazioni per rompere gli schemi, deviare dal percorso imposto. I loro incontri, i loro confronti, li fanno crescere. Emily, dal fratello, impara cosa sia la libertà, cosa significhi essere persona, prima ancora che donna.
Perché siamo nell’800, e nascere donna, ancora più che ai giorni nostri, significava trovarsi stretta in un sistema di regole e imposizioni sin dai primi giorni di vita.
Quello che però fa di straordinario questo film, privandolo della stringente etichetta di manifesto femminista, è quello di mostrare come anche Branwell, a fronte di uno spazio sociale e di affermazione personale più ampio rispetto a quello della sorella, sia comunque legato ad un destino predeterminato ed ineluttabile. E finisce per pagare ad un prezzo ancor più caro, la propria volontà di fuga, la propria libertà di pensiero.
Emma Mackey, voto 8, e Fionn Whitehead, voto 8.5, fanno un lavoro splendido nel rendere i propri personaggi e la loro crescita.
E un 8 va anche a Oliver Jackson Cohen, che interpreta il giovane curato la cui vita si intreccia e mischia con quella di Emily. L’attore è indubitabilmente bello, e, perfettamente assistito dai costumi – voto 10 – e dal trucco, dà vita ad un personaggio affascinante, divertente, sensuale e tragico.
Dalle microespressioni facciali dell’attore ci arriva, forte, il contrasto tra la sua stringente educazione ecclesiastica e lo spirito libero che arde anche nel suo petto. La sua figura, così opposta a quella di Emily, è olio che per un istante si scioglie e si mischia alle acque tempestose della ragazza. La lettura delle sue poesie, il contatto con la sua devastante potenza espressiva, umana e letteraria, lo sconvolge. Chiamato dal reverendo a impartirle lezioni di francese, vede i propri orizzonti confondersi e sconvolgersi, fino a trasfigurarlo.
Sullo sfondo di tutto ciò, ma con un ruolo comunque centrale e importante, abbiamo le sorelle di Emily: Anne e Charlotte. Un’altra cosa bella che il film fa è quella di non screditare e svalutare quei personaggi usati per mostrare il contrasto della protagonista con l’etichetta dei propri tempi. Lo spettatore riesce comunque a voler bene alle sorelle di Emily, poiché anche nei momenti in cui è palese e percepibile un contrasto anche violento tra le loro personalità, non si sente mai mancare un certo amore.
Un amore ottocentesco. Tra persone che conoscono il dolore, la malattia e la morte, e non danno affatto per scontata l’opportunità di invecchiare. Non facciamo spoiler nel dire che Emily morirà giovane. Il film è ambientato principalmente tra il 1845 e il 1847, anno di pubblicazione di “Cime Tempestose”, mentre Emily morirà nel 1848. Una cosa che O’Connor non ci racconta è che la ragazza aveva altre due sorelle, Maria ed Elizabeth, morte a 10 e 9 anni di età nel 1925, e che lei stessa, sin da piccola, era di salute molto cagionevole.
In un quadro così complesso, e calato in un’epoca così diversa dalla nostra, la narrazione non commette mai l’errore di inserire giudizi e descrizioni appartenenti alla nostra coscienza collettiva, alla nostra sensibilità. Questo ci permette di entrare in empatia persino col curato perpetuo Patrick Bronte, padre severo, sì, ma non insensibile. Anche a lui è conferita un’umanità, una propria sensatezza storica, facendone persona viva e non elemento di contorno. Non viene usato come strumento di un’autorità cieca e sorda per valorizzare la ribellione dei propri figli. Siamo in un mondo in cui invecchiare e sopravvivere a colera, tubercolosi e vicende storiche è un lusso, e i suoi precetti, le sue imposizioni, sono tutto ciò che sente di poter fare per proteggere ciò a cui tiene.
Realizzazione tecnica del film
Guardando alla realizzazione tecnica, ci troviamo di fronte ad una buona regia, che oscilla tra l’8,5 di determinate scene estremamente potenti, capaci di far piangere a fontana, e il 6,5/7 di alcune scene forse un pochino troppo scolastiche, con l’utilizzo di campi e controcampi forse un po’ troppo scontati. Ci attestiamo su un 7,5 che con pochi accorgimenti e poche attenzioni avrebbe potuto essere un 8 pieno. Stesso dicasi della fotografia. La pasta dell’immagine è molto bella, l’utilizzo così parsimonioso dell’illuminazione artificiale ci offre quadri molto realistici, a tratteggiare un’atmosfera estremamente verosimile e convincente. Non c’è nulla di artefatto e finto nella messa in scena. Ogni tanto forse si potrebbe ricorrere ad un maggiore contrasto tra campi larghi e inquadrature molto strette, a giocare maggiormente con le emozioni rese dagli scenari – bellissimi – e dall’espressività degli attori – straordinari.
Bellissima l’inquadratura che ci accompagna ai titoli di coda, con la colonna sonora, voto 8, che prende il sopravvento e ci spinge a rimanere seduti ad ascoltare fino alla fine.
Per tutto quanto detto fino ad ora, il film si merita un 8. La sua scrittura sarebbe anche da 9, ma un pochino paga la scelta di avere una regia raffinata, delicata e rispettosa, ma che in certi momenti potrebbe spingere di più.
Questa potrebbe essere una scelta stilistica, simile peraltro a quanto visto in “Un Bel Mattino”, con Lèa Seydoux, e noi la rispettiamo in pieno, ma ogni tanto ci è venuto da immaginare come sarebbero state certe scene se raccontate con l’intensità riservata – per esempio – ad una particolare scena riguardante una maschera, nella prima parte del film.
La pellicola dura un paio d’ore, ma il tempo vola e la visione non pesa. La narrazione è diretta, cruda, a tratti violenta, in altri sensuale, in un’alternanza dal giusto ritmo, né troppo veloce, né troppo lento. Il film è una piccola gemma cinematografica, un’esperienza che consigliamo a tutti.